mercoledì 11 maggio 2011

Costi standard. Fazio: “Con l'e-health criteri di Riparto più accurati”


Fascicolo sanitario elettronico, ricette online, telemedicina e informatizzazione delle Asl. Secondo il ministro della Salute sono questi strumenti che permetteranno, in futuro, di “avere dati più dettagliati del quadro epidemiologico nazionale su cui stabilire criteri di Riparto del Fsn sempre più equi”.

10 MAG - “Fino a qualche anno fa, dal punto di vista dell’informatizzazione in sanità, eravamo agli ultimi posti in Europa, ma in tre anni abbiamo fatto grossi passi in avanti e ora siamo ai primi posti anche sotto questo aspetto”. Lo ha detto il ministro della Salute Ferruccio Fazio, intervenuto oggi al Forum Pa in corso a Roma, all’interno del convegno “Federalismo e costi standard: il caso della sanità”. “Su tutto il territorio nazionale – ha proseguito il ministro - grazie alla collaborazione tra il nostro ministero e quello della Pubblica amministrazione e Innovazione, ci stiamo avviando ad essere tra i primi in Europa anche per ciò che riguarda l’e-health”. E proprio dall’adozione di misure quali il fascicolo sanitario elettronico, le ricette online, la telemedicina e l’informatizzazione delle Asl, potranno in un prossimo futuro venire dei “sempre più precisi criteri di ripartizione per il Fondo sanitario nazionale”. Perché questi mezzi, ha precisato il ministro, “ci permetteranno di avere un quadro epidemiologico nazionale più completo e dettagliato, grazie al quale ottenere criteri di riparto maggiormente equi”.
A margine dell’incontro il ministro ha infine commentato l’andamento “soddisfacente” dei Piani di rientro di Lazio, Sicilia e Abruzzo. “Ci sono alcune Regioni che stanno dimostrando di procedere secondo i Piani di rientro: Lazio e Sicilia sono sicuramente tra queste, così come sta andando bene anche l'Abruzzo”. “Il nostro obiettivo per le Regioni in deficit – ha concluso Fazio – non è tanto l’individuazione del ‘costo secco’, quanto piuttosto spingere ad importare le buone pratiche, al fine di migliorare la qualità delle prestazioni e di conseguenza ridurre gli sprechi”.

mercoledì 4 maggio 2011

Cartelle cliniche elettroniche e cloud computing. Così la sanità investe nell'innovazione tecnologica


Cartelle cliniche elettroniche, cloud computing, gestione amministrativa. Sono alcune tra le voci di spesa per l'informatica e le telecomunicazioni nella sanità italiana: nel 2010 gli investimenti hanno raggiunto un valore stimato di 920 milioni di euro. Domina il settore pubblico con le aziende sanitarie locali (Asl) e le aziende ospedaliere (Ao): insieme generano il 79% dell'impegno economico nelle ict per la salute. Seguono gli ospedali privati con il 15% e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) con il 6 per cento. È la fotografia che emerge dallo studio "Osservatorio ict in sanità" coordinato dalla School of management del Politecnico di Milano.
Sono quattro le principali frontiere che nei prossimi tre anni richiameranno il maggiore
incremento relativo degli investimenti da parte delle strutture sanitarie, secondo le previsioni dei chief information officer intervistati per lo studio: registreranno un aumento la fatturazione elettronica (139%), il cloud computing (112%), la conservazione sostitutiva (112%) e la medicina sul territorio unita con l'assistenza domiciliare (73%). Avanzeranno anche ambiti ormai considerati strategici come la cartella clinica elettronica e la gestione amministrativa.
L'innovazione ha radici nelle esperienze e nelle esigenze locali. L'azienda ospedaliero-universitaria San Giovanni Battista di Torino, per esempio, ha ricevuto un premio al Politecnico di Milano per il progetto di assistenza radiologica a domicilio iniziato quattro anni fa: un'unità mobile permette di eseguire gli esami nelle vicinanze dell'abitazione dei pazienti, poi i referti vengono inviati attraverso una connessione in banda larga al reparto di radiologia e analizzati in ospedale.
L'"Osservatorio ict in sanità" mostra anche il divario lungo la penisola. Le strutture del Nord
concentrano il 79% degli investimenti più elevati e includono quasi tutte le organizzazioni che
possono permettersi budget per l'informatica e le telecomunicazioni superiore ai 2,5 milioni di euro.
La spesa pubblica sanitaria incontra la soddisfazione dei pazienti soprattutto in Liguria, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige. Ultime per impegno economico e valutazione da parte dell'utenza sono la Puglia e la Sicilia. Invece la spesa media in ict per i cittadini ammonta a 21 euro pro capite al Nord e 9 euro per ogni persona nel Mezzogiorno e nelle isole.

(fonte: Il Sole 24 Ore)

Sanità, in Italia la spesa IT non decolla


L'Osservatorio Ict del Polimi rileva una concentrazione di investimenti al Nord (21 euro pro-capite) a fronte di un Sud che spende solo 9 euro per abitante: "Risorse insufficienti e lontane dalla media Ue. All'e-health serve una governance a più livelli istituzionali"
Ammonta a 920 milioni di euro il budget complessivo in tecnologie dell’informazione e della comunicazione delle strutture sanitarie italiane pubbliche e private, concentrato nel 79% dei casi tra le strutture del Nord, dove si registra una spesa Ict pro capite di 21 euro, contro i soli 9 euro per abitante nel Sud e nelle Isole. A dirlo la Ricerca dell'Osservatorio Ict in Sanità, presentata oggi presso l'Aula Carlo de Carli del Politecnico di Milano in occasione del convegno “Ict in Sanità: l'innovazione in cerca di autore” promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, con il contributo dell’Ict Institute del Politecnico di Milano e in collaborazione con Senaf/Exposanità.

Il report stima che gli investimenti sono destinati ad aumentare nei prossimi 3 anni, anche se il risultato sarà ancora ampiamente insufficiente. Il rapporto tra budget Ict e spesa complessiva aziendale infatti si attesta su un valore medio di circa l’1%, quota ancora lontana dai target europei. Mentre la volontà di fare innovazione in Sanità si scontra spesso con una governance frammentata e inefficace che insabbia nella dialettica di troppi decisori i buoni propositi e i piani di cambiamento.

Si allarga il divario tra chi spende poco e chi spende molto: cresce sia la percentuale di strutture sanitarie che destinano all'Ict oltre 2,5 milioni di euro sia quella delle strutture con budget inferiore al milione. Le aziende ad alto budget sono quasi tutte concentrate nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, mentre quelle a basso budget sono per oltre il 50% al Centro, al Sud e nelle Isole.

L’analisi punta a dimostrare come l’innovazione permetta di ottenere benefici sull'efficacia dell’assistenza al paziente, sul governo dei processi, sull'efficienza e la razionalizzazione della spesa e sulla qualità del servizio percepito dal cittadino: “L’investimento in tecnologie dell’Ict oggi rappresenta, più che un’opportunità, una strada obbligata – dice Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell'Osservatorio Ict in Sanità -. L’Ict rappresenta in Sanità una leva chiave per raggiungere contemporaneamente obiettivi di efficacia, efficienza e di miglioramento della qualità”.

In Italia però il contributo positivo dell’innovazione tecnologica sui processi e sull’organizzazione delle strutture sanitarie non è ancora pienamente compreso e sfruttato. “Le ragioni di questo gap sono molteplici – prosegue Corso –. C'è sicuramente la limitatezza delle risorse economiche investite, ma anche la debolezza del ruolo assegnato ai chief information officer con la conseguente mancanza di una governance unitaria degli sviluppi Ict a livello aziendale. C'è poi la carenza di competenze interne alla Direzione Ict delle singole strutture e la visione locale con la quale vengono pianificati e gestiti gli investimenti, insieme all’incapacità di fare sistema promuovendo lo sviluppo e il riuso di best practice”.
Per quanto riguarda la concentrazione degli investimenti la maggior parte del budget nazionale è concentrato nel settore pubblico: quasi metà (48%) è collocato nelle Asl e un terzo (31%) nelle aziende ospedaliere. Seguono gli ospedali privati con il 15% e gli Irccs con il 6%.
Nella ricerca emerge una chiara polarizzazione tra alta e bassa capacità di spesa. Rispetto al 2010, nel 2011 sono passate dal 43 al 46% le strutture sanitarie con un budget Ict al di sotto di 1 milione di euro e dal 37 al 40% quelle che dispongono di oltre 2,5 milioni di euro.

Le strutture sanitarie ad alto budget Ict nell'83% dei casi sono concentrate nel Nord Italia, solo l'11% nel Centro e il 6% nel Sud e Isole.
Il confronto nelle diverse regioni italiane tra efficienza, misurata in termini di spesa pubblica sanitaria pro capite, e qualità dei servizi, misurata in termini di soddisfazione dei cittadini, mostra inoltre come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte siano caratterizzate al tempo stesso da elevata qualità percepita e bassi costi per il cittadino, mentre al contrario regioni come Lazio e Molise siano caratterizzate da elevati costi per il cittadino e scarsa qualità dei servizi. È possibile quindi dividere le regioni italiane in quattro categorie:
- Virtuose: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Hanno già livelli elevati di budget Ict, ma dovranno continuare a investire in Ict per garantire un’innovazione sostenibile del sistema sanitario;
- Poco virtuose: Lazio e Molise. L’ICT, oggi molto poco sfruttata, deve essere utilizzata per abilitare una trasformazione radicale del sistema sanitario;
- Alta qualità e alti costi: Trentino Alto Adige, Friuli, Valle d’Aosta e Liguria. L’innovazione Ict deve servire per migliorare l’efficienza e porre i costi sotto controllo;
- Bassi costi e bassa qualità del servizio: le altre regioni. L'innovazione in ICT deve migliorare l’efficacia e la qualità percepita.

Gli ambiti “strategici”, con alta maturità e per cui sono previsti ulteriori investimenti nei prossimi tre anni, per gli investimenti Ict in Sanità sono soprattutto la cartella clinica elettronica (Cce), la gestione amministrativa e i sistemi di integrazione con il fascicolo sanitario elettronico. Sono da considerare invece ambiti “consolidati” la gestione delle risorse umane e i sistemi di business intelligence, per cui si sono raggiunti alti livelli di maturità ma non si prevedono per il futuro ulteriori investimenti rilevanti.

Al contrario, la gestione informatizzata dei farmaci e il supporto alla relazione con il paziente sono ambiti “emergenti”: non hanno ancora raggiunto un notevole sviluppo ma si prevedono elevati investimenti per il futuro. Infine, sono ancora marginali nella prospettiva delle strutture sanitarie i sistemi di clinical governance, la conservazione sostitutiva, la medicina sul territorio e la fatturazione elettronica, per i quali sono bassi sia la maturità attuale che gli investimenti previsti.

La volontà di fare innovazione in Sanità si scontra però in Italia con la presenza di una governance frammentata e spesso inefficace. La responsabilità della gestione della Sanità in Italia è infatti suddivisa in una rete a più livelli di attori autonomi, i cui comportamenti si influenzano reciprocamente. Capita spesso, così, che un’innovazione possibile non trovi applicazione a causa della mancanza di un “autore” che dal punto di vista organizzativo prenda l’iniziativa, assumendosi oneri e responsabilità.

“La ricerca evidenzia la necessità di una governance condivisa - conclude Corso – capace di incentivare e favorire sia il coinvolgimento verso i livelli più bassi sia la disponibilità verso quelli più alti, insieme alla collaborazione con gli attori dello stesso livello. Bisogna evitare di perdere altro tempo nell’attesa di un intervento provvidenziale, una sorta di ‘deus ex machina’ che possa intervenire dall’alto e ristabilire il corretto equilibrio tra le parti – conclude Corso -. Ciascuno, dalleiIstituzioni nazionali e sovranazionali alle Regioni, alle strutture sanitarie, fino ai singoli operatori della Sanità, deve impegnarsi al proprio livello a giocare il ruolo che gli compete in un sistema che per sopravvivere è condannato a innovare. Senza uno sforzo concreto da parte di tutti questi attori per una governance condivisa, l’innovazione Ict in Sanità rischia di rimanere per sempre in cerca d’autore”. (F.M.)

martedì 12 aprile 2011

Il cancro “neonato”: a Milano la “scatola magica” per vederlo e battere sul tempo il tumore.

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di Riccardo Galli

MILANO – “Se preso in tempo lo si può curare…”. Una frase, quasi un mantra, che si può sentire in più o meno tutte le conversazioni che abbiano come oggetto il cancro. Ci vorrebbe però una magia, la classica palla di vetro, per prenderlo in tempo. E’ infatti proprio questa, il tempo, la chiave per sconfiggere il “grande killer”, il tumore. Ma la macchina in questione, “la scatola magica” come viene definita, esiste. Ed è anche già stata usata. L’hanno inventata allo Ieo di Milano, l’istituto fondato da Umberto Veronesi.
Curare il cancro è difficile se non impossibile, ma batterlo sul tempo si può fare. Su questo scommette e su questo lavora Veronesi insieme allo staff dell’Istituto Europeo di Oncologia: mettere a punto una macchina e una serie di esami che permettano di “vedere” il cancro neonato in modo da poterlo sconfiggere. Il più è stato fatto, si tratta ora di perfezionare la “scatola magica” e renderla meno costosa. Ma la strada è tracciata.
“In oncologia la diagnostica è la carta vincente”, spiega Veronesi, che ha fatto di questa certezza la regola prima del suo Ieo ( Istituto Europeo di Oncologia, tra i centri più attrezzati per la cura del cancro al mondo). Recentemente sono stati pubblicati risultati sull’efficacia di uno screening su pazienti a rischio di tumore al polmone utilizzando la Tac a basso dosaggio radioattivo. I risultati hanno indicato che il 72% dei tumori diagnosticati ai pazienti sottoposti a screening era al primo stadio, mentre chi ricorreva allo specialista dopo aver accusato i sintomi, aveva solo il 16% di chance individuare al malattia al medesimo livello. Si tratta di risultati importanti, tenendo conto che i pazienti con tumore al primo stadio, dopo cinque anni di cura, hanno l’89% di possibilità di sopravvivere.
Forti di questi dati e della certezza che per battere il cancro bisogna puntare sulla diagnostica, i ricercatori dello Ieo si sono messi al lavoro su un progetto che permettesse di scovare non solo il cancro al polmone, ma anche tutti gli altri. E per farlo sono partiti dalle tecniche e dalle tecnologie già esistenti, e non puntando su una nuova fantascientifica macchina ancora da inventare. Oggi la Tac è tra gli strumenti più usati per la diagnostica del cancro, ha però dei limiti, come le radiazioni che non permettono di utilizzarla per uno screening completo del corpo umano. Va bene per pazienti a rischio e per lavorare su organi specifici. Non ha di questi problemi la risonanza magnetica, che discrimina i tessuti del corpo e genera immagini biomediche senza sottoporre il paziente a rischio di radiazioni, ma anche questa tecnica ha uno svantaggio se si pensa in termini di screening totale del corpo umano: il tempo necessario per i risultati degli esami è tanto. Troppo. E se le radiazioni della tac rendono questo strumento inutilizzabile per uno screening su larga scala, bisognava allora puntare sulla riduzione dei tempi necessari per la risonanza magnetica e, in questo senso, sono stati fatti passi in avanti con il “TimCT Oncology” della Siemens, sistema di risonanza magnetica che acquisisce immagini in tempi brevi. Ma la velocità d’acquisizione non è tutto. Un’immagine può non essere perfetta, ci possono essere anomali nei tessuti anche di origine non tumorale, come fare a riconoscere i veri tumori neonati? Il team di Veronesi ha risposto a questo questito ricorrendo alla Dwi (Diffusion-weighted imaging), una tecnica che permette di analizzare la diffusione dei liquidi nel corpo umano. Inizialmente, la Dwi, era stata pensata per localizzare le aree danneggiate dopo un ictus, oggi è adottata anche in ambito oncologico. Allo Ieo, la risonanza con TimCT Oncology affiancata alla Dwi ha permesso di svolgere screening sul corpo umano senza rischio di radiazioni e in tempi relativamente brevi. L’incrocio delle due tecniche, e l’impiego delle nuove macchine, ha consentito di mettere a punto una procedura per scovare i tumori appena nati.
La procedura sviluppata allo Ieo – e che secondo Giuseppe Petralia, responsabile della risonanza, è pronta per essere testata in studi di grandi dimensioni – permette di individuare le formazioni tumorali in tutto il corpo, senza radiazioni dannose per l’organismo, grazie a un particolare utilizzo della risonanza magnetica. E’ il primo passo verso una “magic box” anti-cancro che integri diverse tecnologie per una diagnosi non invasiva. Un primo passo che già è stato provato su alcuni pazienti e che ha dato ottimi risultati. Il procedimento, spiegato in parole povere, anzi poverissime, è quello di fotografare il corpo dei pazienti con la risonanza “veloce”, corpo tutto intero e non solo un organo specifico. Analizzarlo poi con la tecnica Dwi, cioè studiare i fluidi che si muovono nel nostro corpo e che possono segnalare anche il tumore più piccolo, e poi intervenire. Intervenire in modi e forme diverse a seconda dei casi, farmacologicamente, chirurgicamente, con laser o ultrasuoni, ma intervenire con un immenso vantaggio di tempo che nella lotta contro il cancro è sinonimo di maggiori possibilità di successo.
Questo nuovo screening, oggi, allo Ieo, necessita di 45 minuti di tempo. Sembra poco ma non lo è. Se gli studi su larga scala confermeranno la validità di questo tipo di analisi, bisognerà sveltirla ed economicizzarla ulteriormente. Ad oggi il costo di questo esame si aggira sui 1500 euro. Il dato economico e temporale lo rendono ottimo per i pazienti a rischio, ma difficilmente utilizzabile per uno screening continuo di tutta la popolazione. Limiti certo, ma la scatola magica esiste e, per usare le parole di Veronesi: “eliminare il cancro non si può, si può però renderlo inoffensivo”.

(fonte: Blitz)

Ricetta digitale, la Fimmg: "Sperimentazione flop"


L'associazione dei medici di famiglia lancia l'allarme: in Campania e Piemonte un quarto dei medici coinvolti nei test non ha inviato nemmeno una prescrizione elettronica. Mancano software e linee Adsl
Viaggia con il freno a mano tirato la macchina della ricetta medica elettronica. Il nuovo sistema delle ricette online stenta infatti a decollare. Nelle due regioni coinvolte nella sperimentazione - Piemonte e Campania - lo scenario che emerge è a tinte fosche: circa un quarto dei medici coinvolti nel progetto non ha inviato neanche una ricetta online; il 10%, occasionalmente, solo qualche report giornaliero e il restante 65% ha compilato in tutto 3-4 ricette elettroniche.

A scattare la fotografia sullo stato della sperimentazione della ricetta online è Silvestro Scotti, vicesegretario nazionale della Federazione dei medici di famiglia (Fimmg), che senza mezzi termini afferma: “Questa sperimentazione è stata un flop, sia in Campania che in Piemonte. Al momento l'intero impianto è improponibile”. Eppure il 5 marzo scorso in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del ministero dell'Economia e delle Finanze che stabilisce la chiusura della fase di sperimentazione e fissa i tempi di avvio del nuovo sistema. E anche il ministro della Pubblica amministrazione e innovazione, Renato Brunetta, si è mostrato ottimista in tal senso: “Entro l'anno penso che la ricetta online diventi realtà”, ha più volte dichiarato recentemente. Ma le cose - secondo i camici bianchi - stanno in un altro modo. “Il sistema - spiega Scotti - è macchinoso e pieno di falle. E inoltre ai medici mancano gli strumenti idonei per operare: linea adsl, software, eccetera”.

L'avvio del sistema - con l'eccezione della Lombardia, dove la ricetta online è una realtà già da qualche anno - prevede un inizio scaglionato da Regione a Regione. La prima a partire è stata il primo aprile scorso la Valle d'Aosta, seguirà l'Emilia Romagna il 1 maggio, poi Abruzzo, Campania, Molise, Piemonte e Provincia autonoma di Bolzano il 1 luglio, Calabria e Liguria il 1 settembre e Basilicata dal 1 ottobre, mentre resta da calendarizzare l'avvio a regime per le altre Regioni. Una volta che il sistema sarà entrato definitivamente a regime, il paziente potrà recarsi in farmacia con la tessera sanitaria e un codice attribuito alla ricetta in modo che il farmacista, collegandosi al sistema, possa leggere la prescrizione.

La ricetta elettronica, partendo dallo studio del medico che la compila, arriverà online alla Regione e al ministero dell'Economia, favorendo così il controllo sulle prescrizioni e sulla spesa. L'innovazione dovrebbe infatti garantire un taglio del 30% della spesa farmaceutica. Si prevede un risparmio attorno ai 2 miliardi di euro all'anno. Alla luce dei fatti, però, ci vorrà del tempo per mandare in soffitta la ricetta cartacea. Nonostante i vantaggi previsti dall'introduzione del nuovo sistema, e nonostante il decreto preveda delle sanzioni per i medici inadempienti. “A differenza di quanto previsto per i certificati di malattia online - sottolinea Scotti - qui la sanzione è amministrativa. È prevista una penale di 1,20 euro lordi l'anno a paziente. Quindi se un medico ha mille pazienti può al massimo arrivare a pagare una sanzione di 1.200 euro lordi l'anno. Ma solo se verrà dimostrata la sua responsabilità, cioè solo se la Regione di competenza gli avrà prima fornito tutti i fattori di produzione (linea Internet, software)”.

Oltre al ministero dell'Economia e della Finanze, che ha la competenza primaria in materia di ricetta elettronica, in questa partita gioca un ruolo anche il ministero della Pubblica amministrazione e innovazione. “Più che altro - spiegano dal ministero - noi fungiamo da promotori del sistema, soprattutto nel passaggio dalla sperimentazione all'avvio a regime. Stiamo provando a dare un impulso e un'accelerata all'impianto. Ma dal punto di vista dell'attuazione risponde il ministero di via XX settembre». Da Palazzo Vidoni non sembrano troppo sorpresi, ma neanche preoccupati, dal risultato della sperimentazione. «Abbiamo già visto con i certificati di malattia online - sottolineano - che finché non si parte davvero il sistema mostra lacune: “quando si inizia a fare sul serio tutto si aggiusta e i problemi si risolvono”. Una teoria confermata dai risultati raccolti in Valle d'Aosta, prima regione - il primo aprile scorso - a partire con la ricetta online con buoni risultati: il 62% dei medici valdostani spedisce la ricetta online senza problemi; il 35% con qualche difficoltà; mentre solo il 4% non è riuscito a spedire neanche una ricetta.

martedì 5 aprile 2011

Trasmissione ricette, per Brunetta è tutto «a regime»


Entro il 2011 sarà avviato il processo di dematerializzazione e di digitalizzazione della ricetta. E l'invio mensile dei dati delle ricette dai medici alle Regioni e da queste al ministero dell'Economia «è ormai a regime». Questo lo stato dell'arte della Sanità elettronica secondo il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, impegnato mercoledì scorso a Montecitorio nel rito parlamentare del question time. Su invito di una deputata della Lega Nord, Brunetta ha fatto il punto sull'e-health: «I progetti già avviati di concerto con le regioni» ha detto il Ministro «riguardano la connessione in rete di tutti i medici di Mg e pediatri di libera scelta, la digitalizzazione del ciclo prescrittivo, la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico e la realizzazione di una rete di Centri unici di prenotazione che consentano ai cittadini di prenotare le prestazioni Ssn su tutto il territorio nazionale». Per quanto concerne le prescrizioni (per farmaci e prestazioni) e i certificati di malattia, l'intenzione del governo è quella di proseguire nel percorso di transizione dalla carta al digitale «sia attraverso disposizioni normative da inserire nel decreto legge sullo sviluppo di prossima definizione, sia attraverso atti amministrativi e iniziative progettuali in corso di attuazione». La trasmissione delle ricette da parte dei Mmg, ha aggiunto il Ministro, è ormai a regime ed entro il 2011 «sarà avviata l'introduzione della ricetta in formato elettronico che sostituirà quella cartacea».

(fonte: doctor33)

martedì 29 marzo 2011

Fascicolo sanitario elettronico: in fase di decollo?


Marianna Castelluccio

Ad adottarlo, per ora, solo 5 regioni italiane. Intanto la Conferenza Stato-Regioni, il 10 febbraio scorso, ha approvato le linee guida nazionali. Ne parliamo in altro articolo. Obiettivo: colmare il gap. Ma resta lo scoglio della discrezionalità regionale. Se ne è parlato di recente nel seminario su “La qualità nel Fascicolo sanitario elettronico personale”, svoltosi al Politecnico di Milano, promosso dal Dipartimento di Bioingegneria.

Era gennaio 2009 quando il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, presentava il Piano quadriennale di e-government 2012. Tra gli obiettivi quello di implementare l’alfabetizzazione informatica e digitalizzare la Pa attraverso l’erogazione di servizi online. Un programma di svecchiamento del rapporto cittadini-governo, applicato anche alla sanità attraverso il progetto di e-health: per garantire la salute pubblica e offrire servizi evoluti, in ambito medico, attraverso la rete Internet.

Oggi, a distanza di 2 anni, quello che si registra a livello di e-gov ed e-health, è il divario tra le diverse regioni italiane. Sono ancora poche, e collocate soprattutto nel centro-nord, le realtà virtuose. Nell’ambito della salute, solo poche regioni come la Lombardia, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Campania, la Toscana, le Marche e la Sardegna, hanno avviato, a vario titolo, attività progettuali per l’applicazione dell’ICT (Information and Communication Technology) alla sanità e alla medicina. Si tratta di programmi per l’implementazione di servizi quali la telemedicina, le certificazioni e le prescrizioni digitali, le prenotazioni online, i fascicoli sanitari elettronici.
Per colmare il gap presente sul territorio, il governo si è deciso a intervenire con azioni mirate all’accelerazione del processo di digitalizzazione. Lo scorso 10 febbraio, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato le Linee guida, proposte dal Ministero della Salute, per una omogenea progettazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) su base nazionale ed europea.

Che cos’è ed a che cosa serve il FSE?

E' una vera e propria carta d’identità sanitaria, in grado di migliorare l’assistenza del paziente e di garantire un intervento rapido ed efficace in caso di emergenze, ovunque il cittadino si trovi. Il Fascicolo Sanitario Elettronico è realizzato dalle singole Regioni e Province Autonome, previo consenso della persona interessata. Contiene dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario, che riguardano eventi clinici presenti e trascorsi. Una volta attivato, e fino a indicazione contraria del paziente, il FSE copre l’intera vita del malato, riportando continui aggiornamenti, inseriti di volta in volta dai soggetti (nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e dei servizi socio-sanitari regionali) che prendono in cura l’assistito.

Utile nelle urgenze

In caso di emergenza, il FSE permette agli operatori sanitari di inquadrare immediatamente il paziente. Questo perché il documento, attraverso un profilo sanitario sintetico (detto anche patient summary), riassume la storia clinica della persona e la sua situazione corrente. La presenza di un set predefinito di dati clinici significativi agevola e accelera l’elaborazione della diagnosi e l’eventuale prescrizione di cure farmacologiche adeguate. Lo scopo del “documento sintetico” è favorire la continuità di cura e ottenere un rapido inquadramento del paziente, proprio nel momento di un contatto non predeterminato quale può essere una situazione di emergenza e di pronto soccorso.
Qualche esempio di dati contenuti nel patient summary? Le generalità del paziente. I dati del medico curante. I dati di eventuali persone da contattare, nel caso il soggetto soccorso sia un minore o persona incapace di intendere e volere. Il gruppo sanguigno. Eventuali intolleranze, allergie, reazioni avverse ai farmaci. Problemi di salute rilevanti e terapie in corso. Vaccinazioni. Protesi, impianti, ausilii.

Come si accede

Il Fse è personale e privato. Possono accedervi solo gli operatori sanitari autorizzati e il paziente. L’accesso, così come accade per tutti i servizi erogati in rete dalle Pa per i quali sia necessaria l’autenticazione informatica, avviene tramite la carta d’identità elettronica (Cie) o la carta nazionale dei servizi (Cns). Tuttavia, l’accesso può essere consentito anche attraverso strumenti di autenticazione forte, come le smart card rilasciate da certificatori accreditati, o debole, come userid e password, o ancora tramite altre soluzioni purché siano rispettate le misure minime di sicurezza contenute nel decreto legislativo 196 del 30 giugno 2003.

Documenti indispensabili e integrativi

Il FSE è costituito da un nucleo minimo di documenti indispensabili e da documenti integrativi opzionali. Sono documenti indispensabili: i referti, i verbali del pronto soccorso, le lettere di dimissione, il profilo sanitario sintetico. Questi elementi devono essere resi disponibili a livello regionale, al fine di garantire all’assistito il diritto alla cura, anche in caso di eventuali cambi di residenza da una regione all’altra. I documenti integrativi sono: le prescrizioni (specialistiche, farmaceutiche, ecc.), le cartelle cliniche di ricovero (ordinario e day hospital), i bilanci di salute, l’assistenza domiciliare (con scheda, programma e cartella clinica), i piani terapeutici, l’erogazione di farmaci, i certificati, l’assistenza residenziale. Si chiamano integrativi perché sono scelti e inseriti nel Fse liberamente dalle singole Regioni e Province autonome, in base al livello di maturazione del processo di digitalizzazione o delle politiche territoriali in atto.

Esiste un taccuino personale

Si tratta di una sezione interamente riservata al paziente. Qui il titolare del Fse può inserire dati e appuntare orari e giorni di eventuali visite. È una sorta di diario sanitario. Contiene: dati e informazioni personali riguardanti ad esempio il nucleo familiare, l’attività sportiva svolta; file di documenti sanitari quali, ad esempio, referti rilasciati da strutture non convenzionate, referti archiviati in casa; un diario degli eventi rilevanti (visite, esami diagnostici, misurazioni di parametri di monitoraggio); promemoria per i controlli medici periodici. In questo modo il paziente può arricchire il Fse di informazioni che descrivono il proprio stato di salute, anche se questo tipo di dati e documenti risulteranno “non certificati”.

Contiene la dichiarazione sulla donazione di organi

Il FSE mette a disposizione del cittadino uno spazio per esprimere la propria posizione riguardo la donazione di organi e tessuti. Grazie a questa funzionalità, il paziente può, in maniera autonoma o tramite il proprio medico curante, indicare la volontà di donare o meno organi e tessuti, così come previsto dalla legge 91 dell’1 aprile 1999 e dal decreto ministeriale dell’8 aprile 2000. L’informativa garantisce la facoltà di variazione in ogni momento.

Di FSE si è parlato nel seminario di approfondimento “La qualità nel Fascicolo sanitario elettronico personale” tenuto il 17 e 18 febbraio scorso, al Politecnico di Milano, dal dipartimento di bioingegneria (www.sanitadigitale.polimi.it). A presiedere l’incontro il Prof. Francesco Pinciroli, Professore ordinario di bioingegneria al Politecnico di Milano e Honorary visiting professor at the City University of London. A lui abbiamo rivolto qualche domanda.

Il FSE rientra nell’ambito dello sviluppo di una sanità centrata sul cittadino. Perché?

Perché migliora l’efficienza del servizio sanitario e semplifica l’esercizio del diritto alla salute. Una raccolta corretta e più esauriente possibile dei dati clinici del paziente agevola la pratica medica quotidiana e la gestione clinica del malato, oltre a garantire un corretto iter delle prestazioni fornite dal sistema sanitario. In un quadro di ammodernamento della sanità, il FSE risulta uno strumento indispensabile. Da un lato, assicura la focalizzazione sulle evidenze del malato, monitorate di volta in volta da professionisti esperti. Dall’altro favorisce la continuità, anche su lunghe durate temporali, dell’osservazione e dell’assistenza del paziente.

E' possibile che il documento entri a pieno regime entro il 2012 come previsto dal Governo?

Le presentazioni di modelli di Fse e le “esperienze sul campo” riportate, durante il seminario, dai diversi operatori sanitari, non aiutano a crederci. Rilevanti rimangono, tuttavia, i mezzi disponibili agli assessorati regionali e al governo centrale per una concreta implementazione del documento. È necessario valorizzare le risorse e attingere alle competenze, che ci sono.

L’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei?

Rispetto alle situazioni britannica e francese, presentate al seminario, non ravviso distanze significative. In questo momento, a livello europeo, è forse la realtà tedesca a vivere una situazione di “ritardo” tecnologico-sanitario, relativo al FSE, a servizio del paziente.

Ci sono esempi di regioni italiane virtuose?

Sì, si trovano soprattutto al nord. Penso alla Lombardia, alla Toscana, all’Emilia Romagna, al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna. Piccoli passi si stanno facendo anche in realtà come la Campania, la Puglia, la Sicilia. Quello che si registra oggi, a livello nazionale, è uno sviluppo disomogeneo, seppur comprensibile. Il Servizio sanitario nazionale è articolato su tre differenti livelli di autonomia politico-istituzionale che comprendono Stato, Regioni e Aziende locali. Questo alimenta la discrezionalità. A scapito del diritto all’uniformità di trattamento sanitario su tutto il territorio nazionale. Non dimentichiamo che nel nostro Paese l’assistenza sanitaria deve essere riconosciuta di diritto e non, come invece accade in nord America, solo se si è titolari di un contratto di assicurazione. Il compito delle istituzioni è perciò controllare, per quanto possibile, le discrezionalità locali e creare modelli di riferimento sovra regionali, come può essere quello di un FSE unico.

Il premio Nobel per l’economia John Forbes Nash dice che «l'efficacia di un’azione è massima se è vantaggiosa per il singolo e per il gruppo». Cosa garantisce il Fse al paziente e cosa invece al sistema sanitario?

I vantaggi sono molteplici e riguardano migliori livelli di cura e assistenza per i malati, con una riduzione sensibile dell’errore umano, e calo della spesa per il sistema sanitario. Il FSE aiuta i cittadini a creare un promemoria per uso personale. Permette ai medici di famiglia sia di monitorare al meglio lo stato di salute dei propri assistiti, sia di conoscere, dal punto di vista sanitario e socio-sanitario, nuovi pazienti, che hanno ad esempio deciso di cambiare il proprio medico curante. Il documento facilita il “passaggio” di referti tra medici specialisti o l’invio di comunicazioni, come può essere una lettera di dimissioni, che l’ospedale indirizza al medico di famiglia. Può inoltre sostituire la cartella clinica cartacea, consentendo il “passaggio di consegne” in corsia tra colleghi, ad esempio al cambio di turno. Può facilitare, in caso di urgenze, il lavoro dei medici del pronto soccorso. Ed è in grado di monitorare i costi dei trattamenti ricevuti dal singolo paziente o di quelli erogati dal medico.

Il fascicolo sanitario elettronico tutela la privacy dei cittadini?

Sì. Dall’istante in cui il cittadino chiede la creazione del proprio Fse, al momento in cui decide di cancellarlo dagli archivi regionali. Alla costituzione del FSE, il paziente sottoscrive un’informativa, così come previsto dal dlgs 196 del 2003, che garantisce un trattamento dei dati personali improntato sui principi di correttezza, liceità, trasparenza e tutela sia della riservatezza, sia dei diritti individuali. Il Fse si adatta alla libera volontà del titolare, che con il proprio consenso ha facoltà di: permettere o meno la costituzione del proprio FSE; far confluire in esso, in modo parziale o completo, i dati relativi al suo stato di salute pregresso e/o attuale; esercitare il potere di controllo su chi può accedere al fascicolo, fissando anche un filtro sui gruppi di informazioni visualizzabili. Tutte queste scelte sono modificabili in qualsiasi momento. È importante però che la persona riconosca la rilevanza del Fse e di una sua organizzazione dettagliata. Il documento, per essere realmente efficace, deve essere in grado di documentare l’intera storia sanitaria dell’assistito, mediante la raccolta di una nutrita quantità di informazioni, ai fini del miglioramento del processo di cura.

E' realizzabile un FSE unico a livello europeo?

E' auspicabile. E le difficoltà, come si potrebbe erroneamente pensare, non sono legate tanto alla lingua, quanto a un appropriato riconoscimento del documento. Il FSE deve trovare un’adeguata collocazione, oggi ancora assente, nei bandi del ministero della Salute o del ministero dell’Università e della Ricerca.